Giocare: la chiave di tutto

di Redazione Quattrozampe

Giocare

Giocare rappresenta uno dei momenti fondamentali nella vita dei mammiferi, animali che sembrano proprio tagliati in questa dimensione. Giocare non è soltanto piacevole, nel senso di produrre emozioni positive, rilassare, gratificare, ma è ancor prima appagante, vale a dire capace di acquietare il bisogno di essere protagonista, quel languore di mondo che percorre la mente e il corpo.

È appagante, nel senso di consentire di esprimere e incanalare le proprie energie in attività che, essendo per finta, sono esenti da paura, frustrazione, stress.

Giocare, questione di fisica

GiocareTutto il corpo sembra desiderarlo, entrare in fibrillazione nel piacere di lasciarsi coinvolgere in questa attività dal saldo puntualmente positivo. Entriamo allora nell’universo del gioco.

In realtà il gioco non è solo piacevole, anzi, possiamo dire che è piacevole perché utile: solo i comportamenti che apportano un vantaggio sono premiati dalla selezione naturale. I caratteri che ci vengono dati in eredità dalla lunga storia filogenetica sono stati messi alla prova dalla selezione naturale e sono presenti in noi perché si sono rivelati utili ai nostri progenitori.

Accomuna cane, gatto ed essere umano

Il gioco è un tratto molto antico che accomuna cane, gatto ed essere umano, per cui non è difficile e non è un’umanizzazione il rivedersi nel cane che sta giocando e capire per simpatia quello che sta provando. Entrambi abbiamo ricevuto in dote quella propensione.

Quando il piacere è necessità

Ma attenzione: una volta che un carattere è presente nell’individuo diventa a tutti gli effetti un bisogno – proprio come mangiare, bere, respirare – che se espresso determina piacere, altrimenti inquietudine. L’animale amplia il proprio orizzonte esperienziale. Pertanto occorre chiedersi quali vantaggi ha apportato il gioco nei mammiferi. Le ipotesi sono molteplici.

Innanzitutto, attraverso il gioco, l’animale allarga il suo orizzonte esperienziale, perché prende contatto con l’ambiente, si relaziona con le cose presenti nella realtà esterna, interagisce con i propri simili. Poi, grazie al gioco, il cucciolo prende sicurezza nelle proprie capacità, attraverso una corretta gradualità di esercizio, vale a dire affrontando per piccole prove quelli che saranno i grandi problemi della sua esistenza. Inoltre, attraverso il gioco, il cucciolo può sperimentare, affinare i propri strumenti di conoscenza, realizzare in pienezza la propria individualità. Infine, possiamo affermare che, grazie al gioco, il cucciolo può esercitare i propri comportamenti di adulto sotto la supervisione del genitore che, così facendo, è in grado di orientare, indirizzare, strutturare in lui uno stile corretto di specie.

È una famiglia di comportamenti

Cominciamo col dire che il gioco non è un comportamento specifico, ma una famiglia di comportamenti – tanti quante sono le diverse tipologie di gioco – ma non credo di sbagliare se affermo che l’attività ludica altro non sia che una “dimensione particolare” dei comportamenti ordinari.

Gatto che insegue il topo

Un gatto, per esempio, può rincorrere un topo in un’attività di predazione, come peraltro può mettere in atto le stesse sequenze comportamentali, gli stessi gesti e atteggiamenti, per raggiungere una pallina: l’unica differenza sta nel fatto che nel secondo caso lo fa “per gioco”.

Spesso la differenza non è così netta: il gatto può anche giocare col topo predato e il più delle volte il passaggio è repentino o addirittura sempre compresente. Altre volte, invece, il fatto di trovarsi in una condizione di finzione è ben marcato, al punto che l’animale si preoccupa di ribadire che si tratta di gioco, che cioè il suo comportamento non va preso sul serio, soprattutto se si tratta di un gioco sociale.

GiocareIl classico inchino del cane

Nei cani, per esempio, si è sviluppata una coreografia comunicativa che ha come primo obiettivo proprio il segnalare a un compagno che ci si trova all’interno di una condizione di gioco. L’inchino è una particolare postura che ogni proprietario conosce bene e che introduce una sessione ludica, quasi un virgolettato attraverso cui il cane ci rimarca che tutto quello che farà o esprimerà d’ora innanzi va considerato “per gioco”. Per questo tra gli etologi questo rituale comunicativo è considerato un metasegnale, ovvero un segno che si riferisce ad altri segni. L’inchino per gioco è molto di più, è una sorta di “passepartout” che consente al cane di trovare soluzione in una molteplicità di situazioni.

Abbassa la tensione e risolve i problemi

Volendo fare solo qualche esempio, nella consapevolezza di trovarci di fronte a un universo che stiamo cominciando a esplorare, possiamo dire che questo rituale è una sorta di apertura conviviale che facilita l’interazione sociale amichevole, abbassando gli equivoci e le tensioni.

Un cane può mettere in atto un inchino per prevenire una situazione che lascia presagire qualche difficoltà, per abbassare una tensione sociale, per pacificare di fronte a un atteggiamento minaccioso, per corteggiare una femmina, per ingaggiare qualcuno in una certa attività, per impostare una direzione di marcia, per mettersi in attesa. Abituiamoci a pensare che quasi mai un segnale è utilizzato per un unico scopo.

Varie posizioni

L’inchino per gioco può essere fatto attraverso una postura più o meno eretta, da fermo o in movimento, accompagnato da altre forme di ingaggio, come lo scarto laterale, oppure da segnali giovanili, come il leccarsi il naso o l’uggiolare. Spesso il cane abbaia, ridirige il comportamento di presa boccale sugli oggetti che gli capitano a tiro, può ringhiare o brontolare, rizzare il pelo, agitare la coda a bandiera assertiva o a ciondoloni, ma in tutta questa fantasmagoria espressiva di ingaggio, che varia a seconda del cane e delle situazioni, ci sta dicendo qualcosa di ben preciso: è un gioco. Ci sta mostrando un’intenzione, si sta proiettando in una condizione futura. Tutte le diverse situazioni in cui il cane utilizza l’inchino hanno qualcosa in comune: buttiamola sulla finzione e tutto sarà più facile.

 

 

 

 

A cura di Roberto Marchesini, direttore SIUA

Foto da Shutterstock.com

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