Cani qui dentro? Il progetto di successo nel carcere di Velletri
“Pitbull senza controllo”, così si è definito un detenuto del carcere di Velletri.
Un modo crudo e diretto per descrivere il proprio percorso di vita che lo ha portato alla casa circondariale.
L’immagine del Pitbull evoca storie ingarbugliate dove il percorso intrapreso si muove sul confine tra la sopravvivenza emotiva e l’affermazione malata del proprio io.
Il successo del progetto nel carcere di Velletri
Siamo dentro la Casa circondariale di Velletri (Roma).
Il Reparto Protetti racchiude persone che hanno commesso gravi maltrattamenti in famiglia.
Qui è stato sperimentato con successo il progetto “Cani qui… dentro?”, che fa scuola e merita di essere raccontato.
È una sorta di unicum nel mondo carcerario, portato avanti dalla cooperativa sociale onlus “Nuove Risposte” e dalla direzione del carcere di Velletri.
Un’iniziativa che coinvolge il personale, gli agenti penitenziari, i detenuti e una decina di volontari animalisti con i loro cani.
I detenuti con i cani maltrattati
Detenuti e cani maltrattati, due esistenze emarginate dalla società che, insieme, possono crescere e darsi forza, l’una con l’altra.
Nella consapevolezza che al centro della relazione c’è l’essere in quanto tale, senza pregiudizi verso gli errori commessi, senza preclusioni per la scelleratezza del passato.
Nei primi incontri di prova, tenuti nei mesi scorsi, i detenuti venuti in contatto con i cani hanno dichiarato di avere provato molto giovamento da questa pet therapy.
Interventi assistiti con gli animali (Iaa)
Una terapia oggi sempre più definita “Interventi assistiti con gli animali” (Iaa).
Hanno espresso grande apprezzamento per tale nobile iniziativa e chiesto di ripetere al più presto queste esperienze costruttive con gli amici a quattro zampe.
Visto il successo dell’iniziativa, infatti, il programma dei prossimi mesi prevede nuovi incontri.
I cani dei volontari staranno con i detenuti, nelle ore di aria, nella struttura dotata di campi di calcio, palestra, terreni agricoli, aree verdi.
Il carcere, come è giusto che sia, oltre a un luogo dove espiare le proprie condanne, deve essere un’occasione di recupero e di assistenza psicologica.
Lo sguardo dei cani che fa rivivere il passato
“L’esperienza del nostro gruppo fatta con la pet therapy“ ci ha riportato a momenti già vissuti in passato.
I ricordi balzano alla mente.Nello sguardo di quei cani maltrattati uno di noi ha rivisto gli occhi della persona che rapinava.
Ha rivissuto tutta la sofferenza e la paura di un gesto interpretato a suo tempo in modo troppo semplicistico.
Oggi invece lo ha ricordato con dispiacere e rabbia verso sé stesso”.
Dolore per la giovane vita spezzata
Ha vissuto tale esperienza vedendo nei cani quella fragilità che lo ha riportato a quel momento preciso, provando dolore per quella giovane vita spezzata.
Il ritrovarsi in quel contesto, in mezzo ad animali che hanno sofferto, gli ha fatto riaffiorare il ricordo di quei giorni cupi.
Ha rivisto la tristezza e il rammarico di tante persone conosciute per via del reato di sangue commesso e, in lui, è esploso il rimorso.
Ma anche la voglia di prendere questa esperienza come esempio per diventare un uomo migliore e per capire di più gli altri.
E, un altro detenuto, continua il racconto:
“Uno di noi ha rivissuto il male inflitto a una ragazza che adorava i cani, riducendola in fin di vita.
Le ha causato, purtroppo, danni per tutta la vita, e il suo rammarico più grave è la consapevolezza di non poterle più dare una mano per stare meglio.
Questa è la vera condanna, la peggiore che potesse avere, quella che nessun giudice può infliggere”.
Genuinità contagiosa dei cani
In un altro recluso, ad esempio, è nata una speranza.
Ha visto in quegli esseri a quattro zampe la genuinità e l’assenza del pregiudizio.
E l’illusione che fuori da questo contesto ci siano uomini e donne che possano guardarci con la stessa luce negli occhi, pronti a considerare la persona e non il suo passato.
Spiega Giorgio:
“Ognuno di noi ha compreso che ogni azione fatta, diretta o indiretta, ha portato al male, alla sofferenza degli altri e di sé, lavorando su questo si può imparare più a dare che a ricevere, a essere migliori”.
I risultati, relativi a una modalità riabilitativa di detenuti con la presenza del cane come elemento di mediazione, sono stati straordinari.
E presentati al recente convegno “Guardarsi dentro, per imparare a vedere fuori”, tenuto a Velletri (Roma).
Soddisfatta Maria Donata Innantuono, direttrice dell’Istituto di Velletri:
“Per la prima volta a livello nazionale abbiamo attivato interventi in cui detenuti ‘attori di maltrattamenti’ hanno affrontato ‘de visu’ le conseguenze dell’atto deviante.
Questo attraverso un altro essere vivente ‘diverso da sé’, ossia un cane che aveva subìto maltrattamenti.
Oggi possiamo tranquillamente affermare che il progetto ha avuto un esito ampiamente positivo”.
Il cane non giudica nessuno
A dare il la al progetto è stata Sabrina Falcone, funzionario giuridico pedagogico che segue il Reparto Protetti del carcere.
“La valutazione svolta con Corrado Lombardo, psicologo del reparto, è stata di individuare un’attività specifica che favorisse il riconoscimento della ‘sofferenza’ dell’altro.
E delle conseguenze che il maltrattamento può causare.
Un uomo violento è quasi sempre un uomo cresciuto in un ambiente duro e pieno di abusi.
Una persona che non ha acquisito gli strumenti necessari a gestire la propria rabbia ed emotività.
E che non ha imparato a rispettare il proprio partner, a negoziare il controllo e il potere in modalità sane e condivise, ad ascoltare i propri e altrui bisogni rispettandoli in egual misura”.Poi Falcone aggiunge:
“A volte, specie per le persone vittime di maltrattamento, si è osservata una difficoltà sostanziale nel riconoscere lo stato emozionale dell’altro.
Una difesa attivata anche verso sé stessi, che rimuove la sofferenza provata in tempi pregressi e che rende impermeabili a quella altrui.
Mediare tale riconoscimento, invece, diventa più semplice.
Tutto grazie a un ‘essere animale’, come il cane, che fa da tramite, oltretutto non “giudicante”, portatore, a sua volta, di conseguenze di un maltrattamento”.
L’esperienza con i cani maltrattati
Lo psicologo Corrado Lombardo ha curato con molta delicatezza ed efficacia la fase di preparazione psicologica alla particolare esperienza riabilitativa.
“Nell’ambito del gruppo dei detenuti, già stabile da circa due anni abbiamo osservato elementi di omogeneità interna.
E abbiamo previsto la possibilità di fare un percorso ove i partecipanti potessero specchiarsi.
E riconoscersi nelle responsabilità e nelle sofferenze che il proprio atteggiamento ha causato nell’altro.
Rileggendo le motivazioni che hanno favorito il comportamento abusante.
L’esperimento con i cani maltrattati ha assunto la caratteristica di vera e propria esperienza ‘primaria’, con caratteristiche di maternàge.
Dove le emozioni legate all’accudimento, alla protezione, al benessere dell’altro, collegato al proprio, apparivano a livello comportamentale e nei vissuti sui quali il gruppo poi si è confrontato”.
E ancora, sempre Lombardo:
“La definizione di ‘pitbull senza controllo’, che un partecipante all’esperienza si è ritagliato, appare calzante, appropriata.
Soprattutto se collegata al percorso di vita del soggetto.
Quindi, la illuminante definizione non è il frutto della fantasia di qualche operatore con una buona capacità di osservazione.
E’ il risultato di una formidabile capacità di analisi introspettiva che ha permesso a un soggetto di ‘leggersi’ dentro”.
Il progetto “Cani qui Dentro”
Per realizzare il progetto sperimentale, oltre a dare pieno sostegno e supporto tecnico, gli operatori della cooperativa sociale “Le Nuove Risposte” onlus sono stati guide dell’équipe di Iaa.
Equipe composta da Finisia Giometto, assistente sociale e referente Iaa e Paola Tiribocchi, psicologa Referente Iaa.
Dapprima si è svolto un percorso iniziale di responsabilizzazione e presa di consapevolezza di sé rivolto ai detenuti e curato da Corrado Lombardo.
Poi l’équipe multiprofessionale di pet-therapy ha attuato il progetto riabilitativo.
Gli obiettivi prefissati sono stati:
Migliorare la capacità di percepire e denominare le emozioni e di distinguere tra sentimenti, stati fisici e azioni.
2. Empatia.
Migliore capacità di assumere il punto di vista altrui, maggiore sensibilità verso i sentimenti altrui, migliore capacità di ascoltare emotivamente gli altri.
3. Capacità di trasformare un vissuto in pensiero, con un conseguente maggiore autocontrollo e minore impulsività.
A conclusione di questa prima sperimentazione innovativa,
la direttrice dell’istituto di Velletri commenta con soddisfazione:
“Oggi possiamo tranquillamente affermare che il progetto di pet-therapy ha avuto un esito ampiamente positivo”.
Rincara la dose lo psicologo Lombardo, il cui lavoro è stato prezioso per stimolare la disponibilità dei detenuti all’esperienza:
“Dati questi presupposti e risultati, credo ci sia ampio spazio per continuare a lavorare in tal senso”.
Sabrina Falcone, funzionario giuridico pedagogico che ha creduto intensamente in questa sfida rieducativa, conclude:
“È evidente che è stato solo il primo passo per avviare un percorso più continuativo e duraturo”.
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