Cane di quartiere: meglio libero che in canile
Il randagismo è un problema che affligge l’Italia e soprattutto il sud del paese. Associazioni di volontariato, privati cittadini amanti degli animali e pubbliche amministrazioni cercano di far fronte a tale fenomeno. I cani liberi, in realtà, non sono automaticamente un problema, ma lo possono diventare se il “branco” è composto da un numero elevato di randagi affamati e non abituati a interagire con l’uomo o con altri animali.
In Italia cani e gatti randagi devono essere regolamentati
Nel nostro paese, grazie alla legge numero 281\91, “legge quadro sulla prevenzione al randagismo e tutela degli animali d’affezione”, viene disposto il divieto di abbattere cani o gatti randagi e l’obbligo di regolamentarne la presenza sul territorio attraverso l’iscrizione all’anagrafe regionale canina mediante microchip e sterilizzazione (il tutto a spese pubbliche).
I gatti randagi possono “tranquillamente” vivere nelle colonie feline, una porzione di territorio, appunto, occupata dai felini sotto responsabilità dell’autorità comunale, mentre per i cani randagi, invece, la gestione è differente.
Canili, gattili e sterilizzazioni
In questo ultimo caso, infatti, generalmente, il quattro zampe viene custodito all’interno del canile comunale, di solito sterilizzato – disposto in base alla convenzione sottoscritta tra l’ente comunale e la società di gestione della struttura – e adottabile gratuitamente da soggetti interessati.
Spesso le adozioni non vengono promosse
Purtroppo, l’esperienza insegna che spesso un cane ospitato in una struttura può passare il resto della sua vita all’interno del box perché non viene adottato o, talvolta, perché persone losche e di cattiva morale non incentivano le adozioni per garantirsi il supporto economico pubblico come corrispettivo giornaliero per il mantenimento dei cani stessi. È quindi facile intuire che la realtà non è poi così semplice per il migliore amico dell’uomo, che rischia seriamente di passare tutta la vita nella struttura.
Soluzioni alternative, il cane di quartiere
Così ecco che entrano in gioco diverse alternative alla detenzione in canile: oltre che incentivare il numero delle adozioni, nasce una figura che sembra prendere piede, quella del cane di quartiere, riconosciuta dalla legge con tanto di normative regionali o regolamenti comunali.
Legge della Regione Campania
Ad esempio, la legge della regione Campania numero 16 del 24 novembre 2001 “Tutela degli animali d’affezione e prevenzione del randagismo” regolamenta all’articolo 10, “I cani di quartiere”.
Come dispone la normativa citata, laddove si accerti la mancanza di pericolosità per la sicurezza dell’uomo, di altri animali o cose, “si riconosce al cane il diritto di essere animale libero. Tale animale si definisce cane di quartiere”.
Cane già libero sul territorio
Analizziamo sinteticamente la procedura adottata dalla Campania e seguita anche da altri territori italiani con disposizioni più o meno simili. Nel momento in cui il cane, già libero su un determinato territorio, viene riconosciuto non pericoloso dal servizio veterinario pubblico della Asl, mediante visita e sopralluogo da parte di personale specializzato, lo stesso viene sterilizzato e microchippato a spese del Comune, risultando iscritto nell’anagrafe canina regionale a nome dell’ente stesso. Il quattro zampe dovrà portare un segno di riconoscimento come un collare con targhetta o altro metodo idoneo e sarà monitorato da un’associazione protezionistica la quale si assume l’onere di gestione e responsabilità dell’animale.
Cani di quartiere già di fatto, accuditi dai cittadini
Secondo la normativa suindicata, i volontari attivi su un certo territorio possono segnalare al sindaco la presenza di cani che, di fatto, appartengono al quartiere perché riconosciuti e curati dalla cittadinanza, quindi non ritenuti pericolosi. Mediante il riconoscimento e la gestione come cane di quartiere, il quattro zampe non soltanto gode di libertà riconosciuta ma, si spera, è tutelato ai sensi di legge perché vaccinato, curato e identificato.
Comuni e regolamenti specifici
Anche i comuni, seppur in assenza di legge regionale gerarchicamente superiore, possono disporre regolamenti specifici per riconoscere la figura del cane libero. Così il Comune laziale di Rocca Massima, provincia di Latina, all’art. 4 del “Regolamento per l’affidamento di cani randagi rinvenuti sul territorio comunale e per l’istituzione del cane di quartiere” prevede la possibilità di riconoscere la presenza di cani liberi e quindi appartenenti a “tutti”, ovviamente nel rispetto della sicurezza pubblica.
Il sollecito delle associazioni
Le associazioni di volontariato o anche singoli cittadini possono fare istanza al sindaco del comune per ottenere il riconoscimento con tanto di controllo, cura, sterilizzazione e identificazione da parte del servizio Asl. In tal caso la normativa specifica che il quattro zampe viene iscritto in anagrafe a nome dell’associazione o del privato che se ne assume l’onere di mantenimento, salvo la necessità di cure veterinarie che continuano a gravare sul Comune. L’ente pubblico provvede inoltre alla stipula di una polizza per responsabilità civile per eventuali danni cagionati dall’animale.
Meglio un cane libero che recluso in canile
Questa pratica sembra man mano prendere piede nel nostro paese, mediante l’adozione di disposizioni comunali sul riconoscimento del cane di quartiere. In questo modo, il cane rimane libero e può comunque interagire con la popolazione evitando di passare l’intera vita, o una buona parte, in un canile e non gravando sulle spese comunali necessarie per un mantenimento giornaliero.
Così si combatte al meglio il randagismo
Forse, applicando rigidamente le regole per il riconoscimento e la gestione del cane di quartiere, la lotta contro il randagismo sarà sempre più forte e vincente tutelando in tal modo il migliore amico dell’uomo. Il consiglio pratico per tutti gli amici dei quattro zampe, soprattutto del sud Italia dove un clima molto più favorevole e condizioni di vita tranquilla nei piccoli paesi sono ottimi fattori per rendere molto più facile abbracciare una realtà come quella del riconoscimento del cane libero, si consiglia di proporre al sindaco di adottare un regolamento di questo tipo.
Favorevole anche la giurisprudenza
Interessante è sapere che anche la giurisprudenza sembra avere un occhio di riguardo nei confronti dei cani randagi. Spesso accade, soprattutto in campagna e nei piccoli paesi, che le persone somministrano da mangiare a cani e gatti randagi. La legge non vieta questa pratica, ma può “regolamentarne” la relativa attività come, per esempio, prevedere luoghi idonei dove lasciare acqua e pappa ovvero l’obbligo di raccogliere scatolette vuote o avanzi per non abbandonare rifiuti e tutelare anche l’ambiente.
Ordinanze “affama-randagi”
Ma è anche capitato che alcuni comuni hanno fatto un passo troppo azzardato ed emanato ordinanze contenenti divieti assoluti di somministrazione di cibo ai poveri randagi, scatenando così l’intervento delle associazioni protezionistiche mediante ricorsi al Tribunale amministrativo regionale competente. Ad esempio, il Tar Molise, con sentenza del 2013, ha dato ragione a chi sfama i randagi annullando un’ordinanza comunale che aveva imposto tale divieto. Come si legge nelle motivazioni della sentenza, non dare da mangiare ai randagi comporta che gli stessi, affamati, si mettano a rovistare tra i rifiuti e diventino aggressivi con l’uomo. Tale trattamento, specifica il Tar, è crudele nei confronti degli animali, non conforme a legge.
Infine, conclude il giudice amministrativo nella sentenza citata, “L’ordinanza impugnata impone soluzioni sproporzionate e manifestamente illogiche al problema del randagismo, da affrontare con strumenti consentiti dalla legge: sterilizzazioni veterinarie, ricovero in strutture protette e campagna di adozioni et similia”.
di Claudia Taccani – Responsabile sportello legale Oipa Italia
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