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Anteprima di marzo – Permesso retribuito se l’animale sta male

di Redazione Quattrozampe

Anteprima di marzo - Permesso retribuito se l'animale sta male

C’è un’importante novità e precedente circa il permesso retribuito per poter curare e assistere il proprio animale domestico. Un primo caso in Italia si è riscontrato di recente, quando una lavoratrice single dell’Università La Sapienza di Roma ha ottenuto di assentarsi dal lavoro per due giorni perché il proprio animale domestico necessitava di un intervento medico veterinario urgente e indifferibile e in seguito andava accudito. A una prima richiesta della donna, il datore di lavoro ha risposto negativamente ma, in seguito al supporto tecnico-giuridico della Lega Anti Vivisezione (Lav) e ottenuto il certificato dal veterinario, la situazione si è sbloccata.

L’incuranza è maltrattamento

Le motivazioni a sostegno del parere favorevole ricevuto dalla dipendente amministrativa si rinvengono nel fatto che l’incuranza di un animale di proprietà possa comportare, secondo la Cassazione, il reato di maltrattamento di animali previsto dall’art. 544 ter c.p., oltre alla possibilità di integrare gli estremi del reato di abbandono di animali sancito dall’art. 727 c.p..

Come è noto, i lavoratori dipendenti, pubblici e privati, possono beneficiare, in alcune circostanze, di periodi di astensione dall’obbligo della prestazione lavorativa usufruendo di permessi o di periodi di aspettativa espressamente regolati dalla legge. Durante tali periodi, il lavoratore conserva il posto di lavoro e in determinati casi anche il trattamento retributivo e il riconoscimento dell’anzianità di servizio.

In tale scenario si inserisce la fattispecie del permesso che il dipendente può richiedere al proprio datore di lavoro per “gravi motivi personali e familiari” disciplinato dalla legge n. 53/2000, dal successivo decreto attuativo D.m. 278/2000 e, anche, da alcuni contratti collettivi nazionali di lavoro. In ipotesi, dunque, che comportino un impegno particolare del dipendente nella cura del coniuge, del figlio e, più astrattamente, di un soggetto componente la famiglia anagrafica, il datore di lavoro, accertata la corrispondenza al vero della richiesta, concede un breve periodo di permesso retribuito.

L’animale è un componente della famiglia

Il punto fondamentale della vicenda consiste, dunque, nel riconoscimento – da parte del datore di lavoro – di una interrelazione personale rilevante tra uomo e animale, tale da considerare quest’ultimo  un componente della famiglia a tutti gli effetti, in questo modo conferendo piena legittimità e conformità alla richiesta di permesso dal lavoro retribuito da parte della dipendente.

Appare, dunque, evidente che non poter prestare o far prestare da un medico veterinario cure o accertamenti indifferibili dell’animale, come nel caso in esame, rappresentava chiaramente un grave motivo personale e di famiglia, visto che la signora era sola e non aveva alternative per il trasporto e la necessaria assistenza al cane.

Sulla vicenda si è espresso anche il presidente della Lav, Gianluca Felicetti:

“D’ora in avanti, con le dovute certificazioni medico-veterinarie, chi si troverà nella stessa situazione potrà citare questo importante precedente: un altro significativo passo in avanti  che prende atto di come gli animali non tenuti a fini di lucro o di produzione sono a tutti gli effetti componenti della famiglia”.

Pawternity Leave negli Stati Uniti

In tale ambito, l’Italia ha fatto da precursore agli Usa: infatti, è notizia di questi giorni che alcune aziende americane hanno assunto l’iniziativa di offrire giorni di congedo retribuito a chi adotta un animale domestico. Tale iniziativa si chiama “Pawternity Leave” (da paw, zampa) e si sta diffondendo soprattutto a New York, segno del riconoscimento di fatto che gli animali sono ormai componenti a pieno titolo di moltissime famiglie.

Questo è solo uno degli articoli che potrai leggere sul numero di marzo di Quattro Zampe. Acquistalo in formato digitale o in tutte le edicole.

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di Roberto Senna

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