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Angelo Vaira e il primo approccio con i cani

di Maria Paola Gianni

Angelo Vaira

“Il primo approccio con un quattro zampe? Forse nasce da una mia vita precedente. Ho iniziato a pensare da cane subito. Fin da quando ero piccolissimo”. A parlare è Angelo Vaira, coach della relazione col cane, scrittore, formatore, personalità mediatica. Fondatore di ThinkDog, dell’Approccio cognitivo-relazionale e della Scuola cognitivo-zooantropologica di Pet-training.

Quattro chiacchiere con Angelo Vaira

“I miei genitori mi davano tanti fumetti, chiedevo tutto sui cani. Da sempre”, continua, “il primo libro che ho letto era sul Pastore Tedesco, avevo otto anni. Ho sempre amato questo cane, mi dà una grande sensazione di fedeltà, protezione e amicizia. È un amore da sempre. Mi ricordo, in un viaggio a Roma con i miei genitori, comprai i primi due libri, Zanna Bianca e una piccola enciclopedia sulle razze dei cani.

Più cane che gatto, dunque…

Sì, non so perché. Forse per la pro-socialità del cane, per questa sua forte tendenza a creare dei legami.

Ce l’ha anche il gatto, però. L’ho scoperto più tardi.

Il tuo primo rapporto speciale con un cane?

Angelo VairaFu con Diana, tanti anni fa. In realtà, è entrata in casa, solo una volta, di nascosto da mio padre, veniva dalla strada. D’accordo con mia mamma l’abbiamo lavata, era un meticcio simil Pastore Belga, tipo Groenendael, tutta nera, però molto più piccola. Ho scritto di lei nel mio ultimo libro, “Un Cuore Felice”, perché lei era il classico cane che non ha mai ricevuto insegnamenti, io avevo quattordici anni. Mi accompagnava in stazione, tornava da sola a casa, seguiva mio padre ma a distanza, perché sapeva che lui preferiva così. Invece, con mia mamma faceva grandi feste, la accompagnava in giro per negozi e supermercati, faceva la guardia alla sua bicicletta, poi tornava a casa. Nel pomeriggio veniva in giro con me e mio fratello, dai nostri amici. Era un cane delicato, intelligente, pur non avendo mai fatto un corso di addestramento. Una delle cose che mi ha affascinato nella mia ricerca negli ultimi quindici anni è stata quella di capire che cosa rende un cane “più bravo” in natura, rispetto a quelli che magari seguono un corso di educazione. Per capire quale fosse la ricetta.

Come hai fondato Thinkdog

 La prima volta che ho sentito questa parola è stato su un libro di John Fischer che si intitolava così. Mi è piaciuta l’idea di mettersi nei panni del cane. Nel 2001 fondai la società con questo nome, cinque anni dopo, la scuola di formazione per educatori cinofili.

Thinkdog” è stato un significato che si è evoluto nel tempo. Trasformandosi sempre di più in qualcosa di empatico, che ci permettesse di evolvere come persone.

Angelo VairaDedicarsi a comprendere come sta il cane e chiedersi, nel momento dell’adozione, cosa posso fare io per lui, aumenta la qualità della vita di quel quattro zampe e la nostra: si cresce come individuo. Ci tro viamo di fronte a un’accettazione incondizionata da parte di un essere che guarda la realtà in modo diverso da noi, che però ci perdona tutto. Tutto ciò diventa uno spazio di relazione che non riusciamo a replicare in altre relazioni. È una palestra di vita, un modo per evolvere, per crescere come essere umano. Tutto questo è Thinkdog oggi. Non è solo la scuola per educare il cane, ma la maggior parte delle persone, appena finisce un corso, ci dice di essere cambiata, in meglio, guardando alla vita in modo diverso, non solo nella relazione col cane, ma con tutto il mondo.

Quando un cane entra “prepotentemente” nella nostra vita affettiva, che porte riesce ad aprire? Come può cambiare le persone così profondamente? E perché è tanto diverso vivere con un cane in casa, piuttosto che con un quattro zampe lasciato fuori in giardino

 Ci sono due chiavi di lettura molto importanti. Primo: la relazione con gli animali, specie col cane, è iscritta nel nostro dna. Ossia, noi siamo diventati esseri umani, homo sapiens sapiens proprio grazie a una forma di scambio costruttivo con loro, data da fantasia, convivenza, necessità, cooperazione. Per cui ci siamo evoluti con questa predisposizione: accettare l’animale nel nostro mondo, tanto che se guardiamo anche solo i loghi di grandi aziende o la pubblicità, l’animale ricorre sempre, è presente, diventa simbolo, proiezione, fantasia.

E la seconda chiave di lettura?

Il fatto è che noi ci troviamo proprio bene con gli animali. Certo, ciò non vale per tutti e fa parte anche della storia dell’individuo. È questa la seconda chiave, che però da sola non basta, è legata alle scelte che facciamo. Ad esempio, nella relazione col cane, un conto è averlo in casa e viverlo in tutti i nostri momenti, un altro è averlo fuori, in giardino, dove interagisce solo a singhiozzi. In questo ultimo caso, non ci si pone in uno stato di apertura nei confronti di quell’animale, non gli si consente di far parte della nostra vita. Dunque, la prima cosa di cui ci si deve occupare è cercare di essere di beneficio al proprio cane. Amore, per me, ha questa accezione: “voglio che tu sia felice, con tutto quello che ciò implica”.

Forse c’è una tendenza filo-buddista, in tutto ciò?

Beh, io sono buddista. Molto tempo fa, nel 2003, ho preso i Voti del BodhisattvAngelo Vairaa, cioè ho promesso di dedicare il resto della mia vita a beneficio di tutti gli esseri. Ciò per me rappresenta una specie di bussola che mi fa formulare sempre questa domanda, in termini di comunicazione e insegnamento: “A quanti sono di beneficio?”. Secondo il buddismo, dobbiamo porci in una disposizione di ascolto nei confronti dei nostri animali, osservandoli delicatamente: solo in quel momento, quando c’è questa sintonia, il cane ha il potere di cambiarci in meglio.

Accade così che chi, fino al giorno prima, non sopportava i cani e gli animali in genere, cambi improvvisamente.

Ciò che ci fa cambiare non è il cane, ma la relazione che si instaura con lui, che non è in giardino, ma in casa, nei nostri stessi spazi, perché deve sentirsi parte del gruppo, viverlo momento per momento con noi. Per fortuna l’evoluzione e l’a more verso gli animali si sta evolvendo in positivo.

Se prima si entrava in un negozio di animali per ammirarli, ora, a guardarli là, ci dispiacciamo. Sono cambiate tante cose. E Thinkdog è una di quelle scuole che ha dato un forte contributo in termini di idee, di innovazione, di persone che si sono formate, ormai sono più di mille, persino nelle isole.

E Jean Pierre Robespierre?

Angelo VairaÈ il mio compagno di vita, ma non è stato il mio primo cane meticcio. Anni fa su facebook lessi un appello per un cane investito a Frosinone, con la schiena spezzata. Contattai subito la volontaria che aveva lanciato una raccolta fondi e le dissi di non preoccuparsi perché avrei pagato io le cure e lo avrei adottato. E così fu. Chiesi a un mio studente di far arrivare Jean Pierre subito a Roma, dove l’ho incontrato per la prima volta, facendolo visitare da due esperti in neurochirurgia, Tommasini alla clinica Gregorio VII e Corlazzori alla Roma Sud. Entrambi mi sconsigliarono di farlo operare, non avrebbe recuperato l’uso degli arti posteriori.

Jean Pierre trattiene la pipì, va aiutato, ma è solo questione di abitudine, non mi pesa. Ha il suo bel carrellino, stiamo benissimo insieme, ormai sono sei anni, mi accompagna anche a seguire le classi di socializzazione, alla scuola Thinkdog, e insegna addirittura agli altri cani, è meraviglioso.

Ultima domanda: collare o Pettorina?

Pettorina tutta la vita. Io da sempre sono stato a favore.

La pettorina soddisfa i bisogni di movimento del cane. Mentre sul collare esistono tante ricerche scientifiche secondo le quali fa male alla colonna vertebrale e alla trachea, ad esempio. La pettorina, invece, è l’ideale per portare a passeggio il nostro amico.

 

 

a cura di Maria Paola Gianni

 

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