L’uomo, il lupo e il cane
La schizofrenia che ci porta a considerare gli altri animali talvolta come totalmente diversi da noi, con il risultato di arrivare al punto di ritenerli macchinette mosse da degli automatismi, talaltra come se fossero identici a noi, fino ai paradossi dell’antropomorfismo più banale, che sostiene l’irrilevanza di conoscere le caratteristiche di un cane o di un gatto per capirlo, rappresenta il più grande impedimento per incontrarli veramente. Ma, allora, come districarsi nel labirinto delle somiglianze e delle differenze che ci uniscono e ci dividono? Il metodo lo ha suggerito Charles Darwin 150 anni orsono ed è un peccato che i libri del grande naturalista siano tanto citati quanto poco letti. Innanzitutto l’interpretazione evoluzionistica ci dice che gli animali sono tanto più simili tra loro quanto minore è la distanza filogenetica che li ha separati, ossia quanto più lontano nel tempo è il progenitore comune da cui sono derivati. Per questo un gatto è molto più simile a noi rispetto a una vespa e uno scimpanzé rispetto a un cane. Più vicina è la parentela, maggiori saranno i caratteri comuni ereditati: tale somiglianza si chiama “omologia”.
“False friends”
Rispetto a questo, è evidente che i primati sono gli animali dove è più plausibile un pizzico di antropomorfismo; poi, via via che ci si allontana, le somiglianze si assottigliano e umanizzare rischia di portare fuori strada. In inglese si definiscono “false friends” quelle parole che sono simili anche in italiano, ma hanno significati molto differenti, così una traduzione maccheronica rischia di farci prendere abbagli non indifferenti.
L’abbraccio e lo sbadiglio
Quando un cane ti stringe in un abbraccio o se sbadiglia sta dicendo cose assai differenti rispetto ai significati che questi comportamenti presentano nell’essere umano. È peraltro evidente che tutti i mammiferi manifestino caratteristiche comuni, che hanno a che fare con il “progetto generale” di questa classe: il giocare dei cuccioli, la richiesta di cure parentali, i comportamenti di aiuto, la comunicazione giovanile e i caratteri pedomorfici.
Gli intenti comuni dei mammiferi
Per capire meglio questo concetto potremmo dire che le diverse specie di mammiferi hanno degli intenti comuni – giocare, accudire, comunicare, interagire in modo sociale, corteggiare, esprimere le proprie emozioni, agire secondo motivazione – ma li realizzano in un modo particolare, così come il danzare è un modo sociale di esprimersi nell’uomo, ma ogni cultura e ogni tempo lo fa attraverso balli differenti. Il modo specifico, attraverso cui una specie realizza questi intenti comuni, prende il nome di “etogramma” che rappresenta a tutti gli effetti il catalogo espressivo di una specie. Per capire il cane e il gatto pertanto non si può fare a meno di conoscerne l’etogramma, la cui definizione rappresenta il duro lavoro dell’etologo. Darwin, peraltro, ci ha detto che esistono altre somiglianze, non derivate da un’eredità comune, ma frutto della selezione naturale: le “analogie”. Come sappiamo, i caratteri di una specie sono il frutto dell’azione selettiva che rende la specie sempre più adattativa rispetto all’ambiente che abita e allo stile di vita. Per questo gli animali notturni tendono ad assomigliarsi così come la maggior parte delle specie che vive ai poli assume un mantello di colore bianco. Possiamo dire che gli animali che vengono sottoposti agli stessi eventi di selezione tendono ad assumere dei tratti di somiglianza: tutti gli animali che volano sono provvisti di ali, al di là della loro storia evolutiva. Questo fa sì che animali che hanno un comportamento sociale in parte sovrapponibile, come l’uomo e il lupo, presentino dei tratti di somiglianza per analogia nella logica di squadra: questa è stata la grande risorsa che ha permesso l’origine del cane.
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