Giotto, il cane scova tartufi
Come si addestra un cane da tartufo
“All’inizio è un gioco”, spiega Cristiano Savini, “bisogna fargli entrare il tartufo nel dna, perché il cane non c’è l’ha, come invece potrebbe avere l’istinto della caccia alla lepre. Io lo abituo fin da piccolo, facendogli mangiare il tartufo, mescolato col cibo o con del latte aromatizzato. È un metodo per far familiarizzare il cane al prezioso fungo ipogeo. Lo si può anche strusciare sulle mammelle della mamma, per dare ai cuccioli l’imprinting positivo legato alla fase materna: un profumo che quando si associa a questi momenti resta in testa per tutta la vita. Meglio usare la parte interna che è sempre più intensa, ossia la gleba del tartufo“.
Come si fa a far capire al cane che deve trovare il tartufo, ma non deve mangiarlo? “Uso la pallina di plastica, di quelle che contegono le soprese nelle uova di cioccolato, come involucro”, risponde Savini, “metto dei frammenti di tartufo all’interno, chiudo con lo scotch, poi con un cacciavite faccio tanti piccoli fori per far fuoriuscire l’odore. Tiro la pallina e il cane comincia a cercarla, per trovarla, romperla e prendere il tartufo. Qui entra in gioco il biscotto, uno scambio: tu mi dai il tartufo, io ti dò il biscotto in cambio, come premio. Complicità, squadra, comprensione, il cane deve star bene con me. Gli faccio capire che appena trovata la pallina si deve fermare, così lo premio”.
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Lagotti, ma anche meticci
Quali sono le razze dei cani di Savini? Qual è il suo segreto? “Ho solo un Lagotto, gli altri sette sono meticci, cani che hanno delle tradizioni, a volte legati a ‘mamme’ o ‘babbi’, come li definisco io. Per me loro fanno parte della famiglia. Come il mio Giotto, ormai diventato famosissimo, anche su YouTube, gli manca la parola, è intelligentissimo”. Il Lagotto è molto diffuso in Toscana, il “babbo” di Giotto apparteneva a questa razza. Dante, figlio di Giotto, nato da pochi mesi, ha la mamma Lagotto.
I cani ideali per la ricerca
Ma come deve essere il cane ideale per la ricerca del tartufo? “Possono essere di tutte le razze e anche meticci”, continua Savini, “devono avere delle caratteristiche avvezze al tartufo. Si caccia sotto terra, perché il tartufo è un fungo ipogeo che si sviluppa in simbiosi tra la spora e la pianta, al di sotto del livello del terreno, quindi il naso del cane deve essere il più vicino possibile a livello terra. Per cui il quattro zampe non deve essere di grande statura, si stancherebbe di più a forza di stare sempre a testa bassa per i boschi”. Robustezza e zampe corte, dunque. “Ci vuole un cane con le zampe corte che permetta al naso di stare il più vicino possibile a terra, senza fatica. Inoltre, un cane non deve avere nel suo dna quelli che io definisco ‘i vizi’: ossia non deve avere l’istinto del cacciatore. Perché se si va nel bosco ed è attirato da cinghiali, fagiani, lepri o daini, ha nel sangue l’istinto della caccia ed è finita. Si può essere bravi quanto si vuole ad addestrarlo, ma poi lui cambierebbe pista… Si metterebbe a cacciare l’animale, non il tartufo”. Secondo Savini, quindi, il Bassotto potrebbe andar bene, ma manca di agilità per la ricerca del tartufo, per cui “deve essere un cane che non sia né irruento, né lento, ma robusto, deve avere un buon passo, una buona gabbia toracica, deve saper ascoltare. Per me il meticcio è l’ideale. Certo, è importante anche trovare l’incrocio vincente”.
Giotto addestrato col gioco
Sull’addestramento ci sono due scuole di pensiero. Quello duro, basato sulla fame, è una tecnica molto grottesca e aberrante che rifiutiamo di affrontare e che per fortuna non è di casa nella famiglia Savini. E il metodo gentile, basato sul gioco, infatti, premia l’azienda. “Purtroppo c’è anche il cavatore avido”, commenta Cristiano Savini, “mentre io ho bisogno di un rapporto di complicità e di scambio di relazione. Io ci parlo pure col cane, lo incito, siamo una squadra, lui non deve provare rancore nei miei confronti”. Poi prosegue: “All’inizio è un gioco, dobbiamo fargli entrare il tartufo nel dna, perché il cane non c’è l’ha, come invece potrebbe avere l’istinto della caccia alla lepre. Io lo abituo fin da piccolo, facendoglielo mangiare, mescolato col cibo o con del latte aromatizzato al tartufo. È un metodo per far familiarizzare il cane al prezioso fungo ipogeo. Lo si può anche strusciare sulle mammelle della mamma, per dare ai cuccioli l’imprinting positivo legato alla fase materna: un profumo che quando si associa a questi momenti resta in testa per tutta la vita. Meglio strusciarlo sulla mammella dopo averlo affettato, utilizzando la parte interna che è sempre più intensa, ossia la gleba del tartufo”.
La mamma di Giotto era un cane tutor
Quanto tempo ci vuole per addestrare un cane da tartufo? Un po’ di mesi, almeno tre e tanta pazienza. “Deve riuscire a capire che non deve rompere la pallina, al massimo deve prenderla e portarmela, per avere il biscotto ricompensa. Con Giotto ho impiegato molto meno, perché gli ha insegnato la mamma, cane tutor, è stata la mia più grande fortuna. Ma non sempre è così, molto volte si ingelosiscono tra di loro: ecco perché durante le truffle experience non accettiamo altri cani, distrarrebbero il quattro zampe protagonista e potrebbero anche mettersi in competizione ed entrarci in conflitto”. Il nostro Giotto, dunque, è bravissimo, sa cacciare tranquillamente anche in presenza di persone estranee, cosa non facile per molto cani. Savini parla con lui in continuazione, lo incita, lo premia col biscotto. “Se lui si vuole fermare, lo fa senza problemi”, assicura, “l’importante, se non trova il tartufo, è che capisca che non è colpa sua, se lavora e non lo trova, lo premio comunque”.
Complimenti Giotto, ora è arrivata la fase delle coccole e del relax. E domani è un altro giorno, si ricomincia, nuova caccia, nuove corse, tanti biscottini-premio e nuove coccole e carezze.
di Maria Paola Gianni – foto Corrado Bonomo
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