San Bernardo: un quintale di dolcezza
Nell’area centro-occidentale delle alpi, a un’altitudine di 2472 metri si erge l’ospizio del Gran San Bernardo, costruito nel 1035 per volere di San Bernardo e gestito in seguito da una congregazione di canonici regolari. Questo rifugio costituì un indispensabile ricovero e appoggio per coloro che si accingevano a valicare il passo, affrontando una traversata molto impegnativa. L’arrivo dei molossoidi all’Ospizio avvenne dopo il XVI secolo, probabilmente donati ai canonici da parte delle famiglie più abbienti della valle. Inizialmente i cani furono impiegati per la difesa della struttura dai briganti e per il trasporto di cibo, inoltre l’incredibile forza fisica venne canalizzata nell’azionare un congegno meccanico che fungeva come una sorta di girarrosto. Tutti furono pienamente soddisfatti delle qualità di questi mastini, tanto che a partire dalla seconda metà del ‘700 i “marronier”, conduttori e addestratori, si cimentarono nell’addestramento affinché i cani potessero fornire un ulteriore aiuto come soccorritori dei viaggiatori smarriti nelle tempeste di neve. I risultati furono stupefacenti: l’obitorio facente parte della struttura registrò sempre meno morti, le capacità fisiche e psichiche di questo cane lo rendevano perfetto per questa nobile mansione. Possedeva un senso dell’orientamento fenomenale che gli permetteva di riconoscere la pista giusta anche se coperta da neve fresca, grazie alla sensibilità a vibrazioni e cambiamenti poteva prevedere le valanghe, inoltre, riusciva a percepire il calore di un corpo sotterrato dalla neve fino a quattro metri di profondità. La forza e resistenza fisica gli consentiva di sopportare i climi rigidissimi, così comuni a quelle altitudini, in totale simbiosi con l’ambiente montano. E capitava che andasse incontro agli stremati viaggiatori carico di provviste di cibo. Il più leggendario di questi cani si chiamava Barry, salvò più di quaranta persone durante i dodici anni nei quali prestò il suo prezioso servizio al rifugio. Infatti, per un periodo questi meravigliosi Mastini delle alpi vennero chiamati “Chien Barry”, in seguito gli inglesi, che mostrarono un grande interesse per la razza, organizzarono una mostra canina a Birmingham nel 1862 dove questo cane venne chiamato per la prima volta San Bernardo, nome che venne universalmente riconosciuto nel 1880 e ad opera dei britannici venne fondato il primo Club dedicato alla razza. Durante il XIX secolo nell’allevamento si verificarono alcuni problemi di consanguineità, infatti i canonici decisero di coinvolgere nella selezione un’altra razza, la scelta ricadde sul Terranova, cane per molti aspetti simile al San Bernardo. Da questo incrocio nacque la varietà a pelo lungo, più “scenografica” e comune oggigiorno, ma sicuramente meno adatta al lavoro nella neve. Oggi il San Bernardo, probabilmente a causa della grande mole, è stato sostituito nel soccorso da razze più facili nella gestione e più “pratiche”. Ciononostante non ha perso l’occasione di aiutare gli altri. Infatti viene utilizzato nella pet therapy, attività che svolge in maniera eccellente, grazie alla profonda dolcezza e pazienza. È un cane adattissimo alla convivenza con bambini, con i quali si rivela meraviglioso e molto protettivo. Ama vivere con la sua famiglia, ma è fondamentale che ci sia un notevole spazio a disposizione. Importante ricordare che alcuni soggetti maschi possono raggiungere il quintale di peso e la gestione in un piccolo appartamento potrebbe diventare difficoltosa. Inoltre, sarebbe sicuramente più a suo agio con un vasto spazio esterno da sorvegliare. Anche se può apparire come un pigrone, il San Bernardo terrà sempre un occhio aperto per proteggere la sua proprietà e anche se non ha un alto temperamento, la stazza enorme e il potente latrato compensano, scoraggiando i malintenzionati. È fondamentale iniziare il processo educativo fin da subito, nei tempi d’oro la grande forza di questo cane gli consentiva di trascinare un uomo per chilometri nelle bufere di neve: dunque, è facile presumere che non farà fatica a trainare il suo umano al guinzaglio.
A cura di Giada Rigolli
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