Gatto in appartamento: sarà felice?
Il gatto in appartamento è più o meno felice di quello che va a spasso? Per Roberto Marchesini, filosofo, etologo, scrittore e direttore della Scuola Interazione Uomo-animale (Siua) non c’è una risposta certa e univoca che valga per tutti i gatti, dipende da caso a caso.
“Se dovessi portare fuori il mio gatto, di certo valuterei prima il suo carattere, proverei a farlo in casa, cioè in un ambiente protetto, e di certo inizierei quando l’animale è ancora cucciolo, con piccole sessioni che non dovrebbero durare più di cinque minuti l’una. Poi valuterei dove intraprendere la passeggiata, cercando di trovare luoghi adatti, lontani da pericoli o da fonti che lo possano spaventare”.
Lui stesso raccomanda, “Attenzione: messo alle strette il gatto non fa come il cane che si rifugia verso di noi, ma agisce in modo individuale attraverso la fuga e con comportamenti imprevedibili e sempre eccessivi. Quindi, vorrei vederlo all’aperto libero da qualunque contenimento, vorrei che costruisse prima una familiarità con i luoghi della passeggiata. Con il gatto non si devono mai operare delle forzature!”
Professore, ma chi l’ha detto che il gatto in appartamento sia felice?
È difficile fare affermazioni generali su questo felino, perché esistono differenze individuali molto rilevanti, come sa chiunque abbia avuto più gatti nel corso della propria vita. Esistono gatti che si legano in modo forte alla sicurezza della propria casa, a tal punto da non sopportare alcun tipo di cambiamento o imprevisto. Altri gatti, invece, sono abituati a entrare e uscire, in modo estremamente libero, con grande competenza e serenità.
In natura il gatto di un tempo viveva all’aperto. È meglio farlo uscire fuori dall’appartamento per andare a spasso o è meglio evitare?
Di certo l’appartamento non è proprio il massimo per un gatto, considerato il suo carattere esplorativo, atletico e predatorio. Meglio cercare di rendere la casa a misura di gatto. Certo sarebbe bello che tutti i mici potessero uscire, ma spesso viviamo in situazioni che non lo consentono: ormai le città sono dei luoghi invivibili, non solo per i gatti. Se lasciamo libero il gatto di entrare e uscire dobbiamo tuttavia accettare una serie di rischi che bene o male sono connaturati col suo stile di vita.
Ma se lei fosse un gatto confinato sempre nella stessa casa, cosa penserebbe?
Se fossi un gatto, cercando di pensare da gatto – e non è facile – con buona probabilità non vorrei vivere confinato. Ma attenzione: uscire significa incontrare pericoli di ogni tipo e incorrere in brutte avventure soprattutto con altri gatti. Poi, è ovvio, qui viene fuori il modo d’intendere la vita. Per me è centrale la felicità di specie, vale a dire quel margine di libertà che consente a un animale di vivere nel modo più coerente possibile con le sue esigenze motivazionali. Altre persone sono, invece, molto protettive e non sarebbero a loro agio pensando che il proprio gatto possa non fare ritorno o tornare malconcio. Si tratta di due impostazioni relazionali differenti, difficile dire chi ha ragione, di certo non si può imporre né l’una né l’altra scelta.
Si può portare il gatto fuori a spasso con la pettorina? A che età è meglio iniziare?
La mia esperienza con i gatti mi fa dire che le abitudini contratte fin da piccolo sono fondamentali nel fare accettare o meno un certo stile. I gatti hanno una plasticità incredibile nei primi periodi di vita, ma poi diventano abitudinari e non sopportano di modificare il loro modello di vita. Per questo, se si vuole impostare una certa abitudine o una certa dimensione di vita, occorre farlo finché il soggetto è cucciolo, perché non si può pretendere che un gatto cresciuto per strada venga poi trasferito in appartamento, ciò vale anche per il contrario.
Come evitare di urtare la loro sensibilità?
I gatti sono animali molto sensibili e bisogna fare molta attenzione a non metterli in difficoltà, se non si vuole incorrere in derive emotive che poi sono di difficile risoluzione. Il gatto, cioè, va rispettato nei suoi canoni di vita evitando di imporgli nuovi regimi. Esistono, poi, differenze che vanno oltre l’aspetto esperienziale: ci sono mici più timidi, altri più territoriali, altri ancora più estroversi. Insomma, non tutti sono nella migliore disposizione per affrontare la classica passeggiata che con il cane è cosa ordinaria. Il gatto, poi, tende a verticalizzare e a saltare, a differenza del cane che ci trotterella di fianco: non è una differenza di poco conto. Penso che anche per questo non si sia consolidata tale consuetudine.
Che consigli darebbe a chi volesse provare un’avventura outsider al guinzaglio?
Devo essere sincero: a me non verrebbe mai in mente di andare in giro con il gatto al guinzaglio. Forse è un mio limite, ma mentre con il cane trovo che si possa comunque costruire un allineamento che facilita la passeggiata, con il gatto mi sembra un po’ una forzatura. D’altro canto ho visto persone farsi accompagnare sempre dal proprio gatto in automobile o nei posti più impensati e persino passeggiare fianco a fianco senza nemmeno il guinzaglio: non c’è verso, i gatti ti sorprendono sempre.
Forse sarebbe meglio interpellare prima un esperto di relazione felina?
Assolutamente d’accordo. Non basta vivere con un gatto per dire di conoscerne veramente il carattere. Più che preoccuparsi della pettorina o del guinzaglio, sarebbe utile farsi consigliare da un consulente della relazione felina o da un veterinario esperto in comportamento felino. Dal mio punto di vista la relazione con il gatto è bella proprio perché non assomiglia a quella con il cane. Cane e gatto sono due mondi differenti e penso che proprio lì si nasconda il fascino di ciascuna di queste relazioni. Mi piace la relazione con il gatto perché è libera e per questo trovo il guinzaglio una nota stonata rispetto alla sua dimensione autentica. Molto meglio un gatto libero, nomade tra cortili e tetti come il Romeo degli Aristogatti. So bene che questa condizione è tutt’altro che rosea, però è anche vero che la felicità sta nel poter esprimere ciò che si è.
A cura di Maria Paola Gianni
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