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Una poesia medioevale per il gatto Pangur

di Redazione Quattrozampe

gatti amici dei monaci

Nel Medioevo non tutti gli ecclesiastici consideravano i gatti al pari di Satana. Ci sono testimonianze che attestano l’amore di alcuni monaci per gli amici baffuti, come la poesia scritta tra l’VIII e il IX secolo, giunta fino a noi perché trovata a lato di un manoscritto. Pangur, il quattro zampe a cui è dedicata, è considerato un’anima di Dio. I versi recitano:

Io e il mio gatto Pangur abbiamo un compito simile.
La sua delizia è la cattura dei topi,
io mi abbandono tutta la notte alla caccia delle parole.
Spesso, un topo si perde
sul passaggio dell’eroico Pangur.
Spesso, il mio affilato pensiero
afferra un senso nella sua rete.
Quando un topo esce dalla sua tana,
com’è felice Pangur!
Che gioia sento,
quando risolvo i dubbi che amo!
Nella nostra arte, troviamo la felicità,
io la mia, lui la sua.

Quello di Pangur è chiaramente un esempio di amore sincero e incontaminato, a dispetto delle persecuzioni effettuate dalla Chiesa cattolica nei confronti dei pelosi.

La Chiesa pretendeva, infatti, che il monaco rinunciasse a qualsiasi forma di affetto per donare tutto l’amore a Dio. Gli animali venivano utilizzati, quindi, unicamente per le necessità della comunità.

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