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Amore mio, perdonami

di Maria Paola Gianni

Amore mio, perdonami

Amore mio, perdonami.
Sono andata a New York City e non sono stata capace di organizzarti un soggiorno adeguato a Roma. Così te ne sei andato, prematuramente. Per sempre. Perdonami, mio piccolo topolino. Hai lasciato un vuoto incolmabile.

Se solo avessi minimamente sospettato che la struttura dove ti ho portato non era affatto all’altezza, non lo avrei mai fatto. Non si sono neanche accorti che lì stavi morendo. Perdonami. Appena ho toccato il suolo americano e ho saputo che ti eri aggravato, da New York ti ho subito organizzato il trasferimento urgente in clinica, ma oramai era troppo tardi: non solo eri diventato tetraplegico, ossia paralizzato totale, ma addirittura sei arrivato in clinica coricato su un fianco, in pratica non ce la facevi neanche a tener su la testina.

Ma cosa ti è successo? Che ti hanno fatto? Chissà che spavento sarà stato per te.
Ti ho portato in una struttura che stavi ritto sulle tue zampine, camminavi, e in poche ore è successo di tutto e poi sei arrivato in fin di vita alla clinica Etiopia di Roma, dove hanno fatto l’impossibile per te. Avevi persino l’intestino e la vescica pieni da giorni, eri disidradato e avevi un dolore profondo per due improvvise e violente ernie del disco, venute fuori chissà come. Davvero non riesco a capire come ti abbiano potuto lasciare in questo totale stato di trascuratezza e abbandono, a soffrire, paralizzato e solo. Non mi dò pace per questo. Tu che sei sempre stato così amato e accudito, ti sei ritrovato da solo negli ultimi giorni della tua vita, pensando che ti avessi abbandonato: e questa è una cosa che mi lacera dentro.

I giorni sono passati uno dopo l’altro, tra continue telefonate intercontinentali, risonanza magnetica, altre analisi, operazione sì, operazione no, notizie e decisioni difficili da prendere. Seppur ancora non del tutto consapevole della gravità del tuo stato di salute, meditavo di tornare subito a Roma, dissuasa però dalla consapevolezza che ormai eri in buone mani e non avrei potuto far nulla di più dal lato medico. Inutile dire che la vacanza che avevo organizzato con tanto amore per mia sorella Irene è stata stravolta, ma questo è il meno. Il paradosso è che col viaggio di New York volevo ringraziare Irene per essersi sempre occupata di te, a casa, durante le mie assenze.

Tornate il I maggio a Roma, io e mia sorella, le tue due mamme, siamo subito corse da te, per stare tutto il tempo insieme, prima di doverti addormentare per sempre. Almeno ti ho fatto credere che saremmo tornati finalmente a casa e ti sei spento sereno. Sono certa che se tu fossi stato con noi a casa non ti sarebbe accaduto nulla. Il mio unico conforto è sapere che ora, finalmente, la mia dolce mamma, andata in cielo circa due anni fa, ti ha potuto riabbracciare. Lei ti amava come un figlio e tu hai sofferto tanto quando se n’è andata.

Ringrazio i veterinari Alessandro Arrighi, Matteo De Pascale, Valentina Papa, Tullio Scotti (e tutti gli altri loro validi colleghi della clinica Etiopia), Mauro Dodesini, mio fratello Marco che ti ha tenuto tanta compagnia in clinica, il mio direttore Giovanni Morelli che mi ha sempre permesso di portarti al lavoro e i miei colleghi che ti hanno coccolato e “sopportato” nelle tue sporadiche esuberanze. Simpaticamente dicevamo che in redazione eri un “giornalista praticante” del nostro mensile.

Addio, Amore Mio, un giorno ci rivedremo.
Maria Paola Gianni

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