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Conosci la leggenda dell’elefante catanese?

di Claudia Ferronato

elefante catanese

La leggenda dell’elefante catanese: pachidermi nani, ciclopi, fenici e cavalli senza testa, sono questi gli insoliti abitanti della città siciliana.

elefante catanese
Animali surreali degni cittadini del capoluogo di un’isola meravigliosa ai confini della realtà.
Continua il nostro viaggio attraverso leggende e curiosità legate agli animali.
Questa volta andiamo a Catania, una città storica, ricchissima di storia e monumenti, oltre che di misteri.
Simbolo d’eccellenza è un elefante, al quale la città è molto legata e che, per l’appunto, ritroviamo anche nel suo stemma.

 

elefante catanese

L’elefante di Catania e le leggende sui ciclopi

Il centro di Catania è occupato da un mastodontico elefante in pietra lavica.
E’ il protagonista di varie leggende che raccontano il passato di questa bella e calda città.
La stessa prende il nome da “Katà Aitnen” ovvero “sotto l’Etna”, ma anche da “Balad al Fil”, ovvero “città dell’Elefante”.
Ed è proprio ai pachidermi che Catania è sempre stata legata, avendone uno come eterno simbolo nello stemma ufficiale.
elefante catanese
E’ il ricordo di un elefante che avrebbe salvato gli abitanti, proteggendoli dagli attacchi di animali feroci.
La statua era in pietra lavica proprio per allontanare la stessa lava delle eruzioni vulcaniche dell’Etna.
Ma è lecito farsi una domanda: cosa ci fa un elefante in Sicilia?
Non è affatto cosa assurda!
Scavi e ritrovamenti confermano la presenza nel territorio di elefanti nani, i cui particolari crani avrebbero originato le leggende di ciclopi.
Questo per la conformazione dei loro crani giganti con un foro al centro per l’innesto della proboscide.
Lo cranio faceva credere, a chi non conosceva questi animali, o non li aveva mai visti, che quel grosso buco centrale rappresentasse un’unica grande orbita oculare.
elefante catanese

Il mago Eliodoro

Questo stesso elefante a Catania viene chiamato Liotru e deriva da un personaggio erudito catanese, Eliodoro (dono del sole) che visse qui nell’VIII secolo.
Aveva un unico morboso desiderio: diventare vescovo di Catania.
Purtroppo fu disilluso, perché al suo posto fu nominato Leone II, detto “il Taumaturgo”, lasciando Eliodoro in un profondo sconforto.
Leone rimase vescovo per vent’anni!.
Eliodoro per vendetta iniziò a opporsi alla Chiesa, disturbando le funzioni religiose e usando la magia.
Si narra che riuscì ad animare l’elefante di pietra lavica catanese.
Salendogli in groppa, lo fece correre tra lo stupore della folla.

Il cavallo del mago 

Per questo motivo l’elefante assunse anche il nome di “u cavaddu di Liotru” (il cavallo di Eliodoro) nome che si porta dietro ancora oggi.
Il vescovo Leone II, sensibile a quanto avveniva in città, nel 778 d. C. sfidò Eliodoro al “giudizio di Dio”, una difficile prova a quei tempi.
Dopo aver camminato sui carboni ardenti, colui che ne fosse uscito indenne sarebbe stato proclamato vescovo di Catania.
Una prova abbastanza insolita dato che, si sa, a restare indenne nel fuoco è proprio il diavolo.
Liotru (Eliodoro), però, rifiutò la prova e Leone, offeso per tale giudizio, lo gettò comunque nei carboni ardenti, dove bruciò tra lo stupore della folla.

La leggenda del cavallo senza testa

Eppure Catania conserva un’altra oscura tradizione.
Riguarda una via sinistra in cui viene ancora oggi ricordata la leggenda del cavallo senza testa.
Ci troviamo in via Crociferi, scenografia di una storia narrata dallo scrittore Carlo Levi.
Lui la descrive come la strada più deserta di Catania.
Dopo il crepuscolo nessuno avrebbe il coraggio di percorrerla a causa della convinzione popolare che con l’oscurità un cavallo senza testa gli sarebbe rincorso dietro.
Per cui, chi avesse udito il rumore degli zoccoli, avrebbe fatto meglio a scappare, anche se a nulla sarebbe servita la disperata fuga.

L’immortalità della fenice

Catania, infine, ha un altro importante simbolo legato al fuoco, la Fenice, l’uccello mitologico in grado di bruciare da solo e rinascere dalle sue stesse ceneri.
Si trova scolpita sotto l’arco settecentesco di Porta Ferdinanda (oggi Porta Garibaldi) insieme al motto della città “melior de cinere surgo” (risorgo sempre più bella dalle mie stesse ceneri).
Una metafora perfetta per questa città, più volte distrutta da assedi, terremoti, eruzioni vulcaniche, bombardamenti, ma sempre rinata più bella e fiorente di prima.
di Isabella Dalla Vecchia 

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