I danni dell’antropomorfismo
Il cane ci sopporta nella nostra disabilità sociale, perché ha un cuore veramente grande. Per il gatto, poi, l’essere umano è qualcosa di ancor più incomprensibile
A volte mi chiedo cosa pensino i nostri beniamini a quattro zampe di noi. Non è un quesito bizzarro e inutile, visto che un filosofo come Thomas Nagel, in un lavoro ormai divenuto storico, si è chiesto già nel 1974 “What is it like to be a bat?”. Giusto, cosa si prova a essere un pipistrello? Siamo in grado di capirlo? Una quindicina di anni fa l’editorialista di Nature, Stephen Budiansky, pubblicò un libro il cui titolo era estremamente chiaro – “Se un leone potesse parlare” – che peraltro prevedeva un sottotitolo altrettanto esplicito: “noi non potremmo capirlo”.
Seguendo queste indicazioni comprendiamo come l’antropomorfismo, ossia l’attribuire ai soggetti di altre specie caratteristiche umane, sia una forzatura che non tiene conto del fatto che ogni animale ha una sua peculiare immersione nel mondo…
Articolo pubblicato su Quattro Zampe settembre 2020
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