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Green Hill: non fu furto

di Studio Legale Zambonin

Green Hill: non fu furto

Il caso Green Hill arriva in Cassazione e i giudici di legittimità stabiliscono che gli animalisti che “rubarono” i cani dell’allevamento non lo fecero con dolo e per un vantaggio patrimoniale, quindi per loro non è configurabile il reato di furto.

Secondo la Cassazione “non è reato rubare animali per salvarli da maltrattamenti, perché chi ha agito non l’ha fatto per un ampliamento del proprio patrimonio”.

Tutto partì il 28 aprile del 2012

La prima volta che abbiamo sentito parlare dell’allevamento di Green Hill è stato il 28 aprile 2012 quando, durante una manifestazione pacifica, alcuni manifestanti “animalisti” hanno portato in salvo 2639 Beagle, tra cui mamme e molti cuccioli.
Tutti cani destinati a essere sottoposti alla sperimentazione e ai laboratori di vivisezione. Beagle che l’allevamento faceva nascere esclusivamente per venderli agli “scienziati” affinché venissero utilizzati come cavie.
Per fortuna il 18 luglio 2012 i giudici hanno stabilito che i cani sottratti ad aprile dovessero essere ufficialmente sottoposti a sequestro probatorio. Lav e Legambiente sono stati nominati custodi giudiziari dei cani, riuscendo a trovare famiglie adottive per tutti. Un’operazione complessa che non ha precedenti per numero di animali “da laboratorio” liberati.

Green Hill: non fu furto

Le pronunce sul caso Green Hill

In seguito alla vicenda l’allevamento di Green Hill, di proprietà dell’azienda americana “Marshall BioResources”, è stato chiuso ed è stato avviato un processo nei confronti degli attivisti ritenuti responsabili di aver “rubato” i Beagle liberati.
La sentenza di primo grado si era pronunciata con l’assoluzione degli imputati. Mentre, in secondo grado, la Corte d’Appello di Brescia, nel luglio 2019, aveva completamente ribaltato la decisione territoriale dichiarandoli responsabili del reato a loro imputato.

Il caso approda in Cassazione

Con sentenza 40438/2019 la Cassazione si è poi pronunciata a favore degli attivisti ribaltando completamente la decisione di secondo grado.
I giudici di legittimità hanno, infatti, annullato il provvedimento della corte d’Appello di Brescia negando la configurabilità del reato di furto di 67 Beagle sottratti al loro infausto destino.
Praticamente 67 sono i cani che sono stati materialmente “rubati” dagli animalisti e sottratti dalla struttura durante la manifestazione.
Da qui è partito tutto il caso mediatico e il processo che poi ha portato il giudice a disporre la chiusura di Green Hill, il sequestro di tutti i 2.639 cani e il loro successivo affidamento, salvandoli così dalla vivisezione.
Ma il reato di furto, in caso di condanna, si sarebbe potuto configurare solo per i 67 cani che materialmente sono stati sottratti all’allevamento, per tutti gli altri la decisione è stata del giudice.

Green Hill: non fu furto

Il dolo specifico del delitto di furto

Nella sentenza della Cassazione è spiegato nel dettaglio il perché della decisione che fa riferimento al dolo specifico del delitto di furto.
L’elemento soggettivo di quest’ultimo secondo i giudici di legittimità esiste nel momento in cui l’autore del reato abbia agito per conseguire un ampliamento del proprio patrimonio.
È infatti necessario che chi lo realizzi voglia trarci un guadagno, ne ricavi un interesse personale, voglia soddisfare un proprio bisogno, anche solo spirituale.
Nel caso concreto, secondo la Cassazione, se l’utilità perseguita dagli attivisti del furto deve essere connessa alla cosa oggetto dell’impossessamento e non all’azione in sé, non si capisce che vantaggio – anche solo morale – gli attivisti si sarebbero prefigurati di conseguire “rubando” i cani dall’allevamento.
Per questo motivo la Corte ha ritenuto di escludere il dolo specifico e di conseguenza la realizzazione del reato.
Ha, quindi, annullato la sentenza impugnata rimandandola ai giudici di secondo grado per un riesame.

Indirizzario web:

Studio Legale Zambonin

Approfondimenti:

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