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L’aquila salvata dalla Lipu a Roma

di Maria Paola Gianni

L'aquila salvata dalla Lipu a Roma

“Il biancone è una delle più grandi aquile che girano dalle nostre parti. Soccorrerlo, curarlo, liberarlo e vederlo ripartire per l’Africa a svernare è stata una delle soddisfazioni più grandi”. Francesca Manzia, responsabile del Centro recupero fauna selvatica della Lipu di Roma, quasi si commuove nel raccontarcelo. La sua sede si trova nel cuore di Villa Borghese, aperta 365 giorni l’anno, dove operano, a rotazione nel tempo libero, una cinquantina di volontari, svolgendo un servizio pubblico insostituibile per il Comune di Roma e per tutti i cittadini. Eppure da ben cinque anni la Lipu di Roma non riceve alcun finanziamento pubblico, vive solo di donazioni private.

“Invitiamo la sindaca Virginia Raggi, l’assessora alla Sostenibilità ambientale Giuseppina Montanari e tutti i rappresentanti istituzionali a venire a trovarci per vedere cosa facciamo ogni giorno”, continua Francesca Manzia, “nella speranza che qualcuno ci sostenga. A volte è davvero molto dura”.

Francesca Manzia, ci racconta dell’aquila?

L’uccello migratore adulto stava partendo per svernare in Africa, ma un cacciatore o bracconiere gli ha sparato a Cerveteri, colpendolo alla testa. L’animale ci è stato portato dalle guardie zoofile di Fare Ambiente avvolto in un filo spinato dove si era impigliato e con una lesione molto ampia sull’ala. E all’esame radiografico è emerso un ulteriore problema, due pallini di piombo nella testa, tra gli occhi, che per fortuna non avevano colpito centri vitali. Bisognava sbrigarsi, perché doveva migrare in Africa con la sua specie. È stata una corsa contro il tempo, l’abbiamo medicato tutti i giorni, cercando di non fargli perdere peso e ci siamo riusciti. Dopo due settimane di cure l’animale ha reagito bene.

È stato complicato?  

Curare gli animali selvatici non è semplice, perché oltre alle competenze veterinarie servono anche le giuste nozioni di etologia per far sì che il recupero vada a buon fine. E per fortuna le capacità di recupero degli animali selvatici sono straordinarie e la ferita del biancone si è richiusa in tempi record. L’animale era molto reattivo e irrequieto, come se sentisse di dover partire a ogni costo, quindi anche se non al massimo, si è deciso di rilasciarlo. Il 9 ottobre lo abbiamo portato nella nostra oasi di Castel Guido, sul litorale romano e lo abbiamo liberato in rotta di migrazione. Ha mostrato un volo perfetto.

Quanti animali avete in cura?  

Siamo pieni. Tante sono vittime del bracconaggio. Moltissimi esemplari particolarmente protetti vengono abbattuti illegalmente, abbiamo diverse aquile e falchi con ferite d’arma da fuoco, sono in cura da noi. Ce li portano da Roma e dintorni. Si spara anche ai limiti del Grande raccordo anulare, in alcuni quartieri sparano addirittura dalle finestre delle case.

Ma senza di voi, dove verrebbero soccorsi e accolti tutti questi animali?  

Le strutture come le nostre sono davvero poche e a Roma non ci sono. Siamo gli unici ad accogliere questa grandissima mole di animali, ne ricoveriamo quasi 6.000 ogni anno, tra mammiferi, rettili e uccelli. Inoltre, risolviamo le varie problematiche dei cittadini, a livello di call center, dando consigli sia sulla gestione della convivenza con animali problematici, sia su cosa fare quando si incontra un animale selvatico.

Come andate avanti?  

Con le donazioni private di persone di buon cuore, che ringraziamo, e con chi si iscrive alla Lipu. È dura, molto dura. È vero che sono tante le persone che donano, ma non sono entrate sicure e costanti: per mantenere un ospedale serve una sicurezza di base, per poter dar loro da mangiare tutti i santi giorni, curandoli al meglio.

E il parco di Villa Blanc di Roma ristrutturato dall’Università Luiss Business School?  

Non sono stati fatti illeciti, addirittura ci hanno chiamato per elencare le specie del parco e per un sostegno nelle potature. Negli interventi strutturali e di sicurezza ci hanno contattato prima di abbattere un albero, per controllare che non vi fossero nidi e, in caso affermativo, hanno posticipato l’intervento, dimostrato grande sensibilità per l’ecosostenibilità. Il parco, abbandonato da anni, doveva essere risistemato, anche col sacrificio di alberi incolti e pericolanti.

Nel video il momento della liberazione

di Maria Paola Gianni – foto Melody Huaman

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